Esserci in due...
- Mirko Garofalo
- 3 ott 2020
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 18 ott 2020
"Due", certo non sarà mai tre, ma la perfezione dell'essere in due non sarà mai eguagliabile.
Partner, genitore e figlio, nipote e nonna o zio: i nostri ricordi più caldi si materializzano nella nostra mente sempre per binomi.
Complicità è un termine che deriva, etimologicamente, da complice, dal latino complex, che ha la stessa radice di plectere - intrecciare e plicare - piegare.
Quindi come due fogli che si piegano su sè stessi, la parola complicità, descrive la magia di quel momento in cui due presenze riescono a leggersi dentro, in cui riescono ad essere insieme "nel momento".
Purtroppo oggi le distrazioni "social", inficiano la nostra socialità. Proviamo solo a pensare cosa riescono a fare alla nostra complicità tutte quelle volte che "siamo" al parco con nostro figlio guardando le ultime notizie sul nostro smartphone perdendo le ultime notizie della sua vita: una nuova amicizia, un successo o insuccesso, una nuova abilità. Oppure pensiamo a quei momenti di presenza con la persona che amiamo, disturbati dal continuo bip di una messaggistica che invade lo spazio interrompendo quell'irripetibile clima, che si tratti di una discussione, di un confronto o della magia di una serie di sguardi.
Eppure in "due", nel confronto con l'altro, siamo costituenti e ci costituiamo.
Eroe per mio figlio.
Sostegno per il mio partner.
Ingrato per il mio genitore.
Nel bene o nel male "l'importanza di esserci" diventa fondamentale per definire chi siamo e per essere chi davvero vogliamo essere per le persone a cui teniamo.
Salvo che non importi essere (che resta sempre una opzione), sarebbe il caso, proprio per quanto abbiamo appena condiviso, di abbassare le suonerie e imparare a "delimitare" la presenza di apparecchi e internet a momenti più o meno brevi, a seconda delle esigenze, in cui ci aggiorniamo o ricontattiamo tutte le notifiche più importanti.
Il rischio di non far ciò è di dimostrare al nostro social più di quanto non riusciamo a dimostrare al nostro "due".
Il rischio del farlo è quello di essere l'esempio di come vorremmo che i nostri affetti si relazionassero a noi.

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