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Prof, non ha fatto l’interrogazione. E ora?

  • Immagine del redattore: Mirko Garofalo
    Mirko Garofalo
  • 27 mag
  • Tempo di lettura: 3 min

Quando il recupero scolastico è un grido muto e non una mancanza di volontà



Siamo a fine anno.

Ultime interrogazioni, verifiche di recupero, ultimi appelli alla possibilità di “salvarsi”.

Molti insegnanti stanno dicendo:


“Dai, fatti interrogare. Alza la media.”

Un gesto nobile. Un tentativo autentico di offrire una seconda possibilità.

Ma non tutti gli studenti rispondono.

Qualcuno non si presenta.

Qualcuno si siede e fallisce.

Qualcuno non parla nemmeno.


E allora ti sale il dubbio:


“Non ha voglia? Non ha studiato? Non gliene importa nulla?”


E se invece… stesse solo lanciando un SOS?

Se il silenzio non fosse disinteresse, ma un grido che non sa come articolare?


Interpretare il silenzio


Lo sappiamo: è più facile dire “non gli importa” che fermarsi a pensare davvero perché non riesce a cogliere l’opportunità.

Eppure, è lì che si gioca il nostro ruolo.

Nel capire cosa c’è sotto il comportamento.

Perché la maggior parte degli studenti vorrebbe farcela.

Ma non tutti ce la fanno.

E non sempre perché non si sono impegnati.


Chi si siede e non riesce a rispondere, chi rinuncia all’ultimo, chi manca l’appuntamento con la sua occasione… sta dicendo qualcosa.

Sta dicendo:


“Ho paura di fallire di nuovo.”

“Ho già mollato dentro, anche se non lo dico.”

“Ho bisogno che tu mi veda, anche se sto zitto.”


I dati lo confermano


Negli ultimi anni, i segnali di disagio scolastico sono aumentati:


  • Oltre il 70% degli studenti delle superiori riferisce sintomi d’ansia legati a compiti e interrogazioni, anche quando è preparato;

  • Più del 25% degli adolescenti dichiara di aver pensato almeno una volta di lasciare la scuola;

  • Tra le cause principali: paura di fallire, pressione da prestazione, senso di inadeguatezza.


Non sono numeri.

Sono volti, mani che tremano, voci che non escono.

E sono seduti nelle nostre classi.


E noi, cosa vediamo?


Siamo stati formati per misurare il sapere, ma non sempre per leggere il silenzio.

Abbiamo gli strumenti per correggere, ma non sempre il tempo per comprendere.


Eppure, in quel silenzio c’è molto da ascoltare.

Non si tratta di “promuovere tutti”.

Si tratta di restare in relazione anche quando l’altro sembra scappare.


Chiediamoci:


  • Cosa sta dicendo con quel silenzio?

  • Cosa non riesce a chiedere?

  • Ho fatto tutto il possibile perché si sentisse accolto, non solo valutato?


Da giudizio a comprensione


Non è buonismo.

È intelligenza educativa.

Valutare non significa solo dare un numero.

Significa capire dove lo studente è fragile, dove si inceppa, dove va supportato.


L’errore non è il nemico.

È il materiale vivo su cui possiamo lavorare insieme.


Un voto basso non deve essere una sentenza, ma un punto di partenza.

E se il ragazzo non parla, non ci interroga… forse è il momento di interrogarci noi.


Conclusione: rimanere anche quando loro mollano


La vera forza di un insegnante non si vede quando tutto fila liscio.

Si vede quando il ragazzo è fermo, silenzioso, arrabbiato, spento.

È lì che possiamo scegliere:


  • Fare il nostro dovere e chiudere il registro;

  • Oppure fare il nostro mestiere e aprire una relazione.


A volte, chi non coglie l’opportunità non sta rifiutando la scuola.

Sta solo testando se la scuola è ancora disposta a cercarlo.


Garofalo Cosimo Mirko

Pedagogista, Coach, Autore



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Perché l’educazione non finisce mai. E nemmeno il bisogno di sentirci meno soli, ogni tanto.

 
 
 

1件のコメント


chiara.capelli72
5月27日

Per fortuna qualcuno lo dice. Temo siamo pochi insegnanti illuminati.

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